15 febbraio 2012

E tu lo chiami Dio - Eugenio Finardi

Vorrei volare ma non posso,
E resto fermo qua
Su questo piano che si chiama terra
Ma la terra si ferma…
Appena mi rendo conto
Di avere perso la metà del tempo
E quello che mi resta è di trovare un senso

Ma tu, sembri ridere di me,
Sembri ridere di me…

E tu lo chiami Dio
Io non do mai nomi
A cose più grandi di me
Perché io non sono come te…
Ma conosco l’amore
Io, io che ho visto come te
Dritto in faccia il dolore…

Vorrei volare ma non posso
e spingermi più in là
Adesso che si fa silenzio attorno
Ma il silenzio mi parla…

Devo combattere con le mie lacrime,
mica con una poesia
E non c’è ordine nei letti d’ospedale
Come in una fotografia rivedo
dritta sulle spalle la mia figura….

E tu lo chiami Dio
Io non do mai nomi
A cose più grandi di me
Perché io non sono come te…
E tu lo chiami Dio
Io non do mai nomi
A cose più grandi di me
Perché io non sono come te…
Ma conosco l’amore
Io, che ho visto come te
Dritto in faccia il dolore…

E tu lo chiami Dio
Io non do mai nomi
A cose più grandi di me
Perché io, io sono come te…

13 febbraio 2012

Lo scarabocchio è l'altro nome della tenerezza - 12/02/2012 VI dom B

Nella sua spelonca, come un antico mago, Satana si divertì a scomporre il corpo dell'uomo nei suoi tessuti e nelle sue fibra, ne spiò ogni nervo, ne scrutò le ossa e le midolla; volle che un lembo del suo inferno si trapiantasse quaggiù nella nostra terra di vivi. Gli riuscì di trasformare la notte in un forno maledetto dove avvoltolarsi fino all'alba contando ore lunghe come secoli, volle che l'uomo si vedesse coperto giorno dopo giorno di bubboni e piaghe, che sentisse le proprie ossa trapassate di lance, frantumate da seghe, addentate da invisibili cani. Volle che l'uomo vedesse colare dalla propria pelle secrezioni immonde e ne percepisse il fetore. Il capolavoro è compiuto, "signore e signori ecco a voi il lebbroso": terra di confine tra il giardino della morte e la fatica del vivere umano, il cadavere ambulante, lo scomunicato per eccellenza. Perché quella pelle puzzolente e fetida tutti la riconosceranno, sin dai primi righi dell'Antico Patto dell'Alleanza: "por terà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo!" (Lv 13,45).
Il Vangelo pullula di lebbrosi: tra i bianchi borghi della Palestina e il silenzio superbo di chi non capisce la Sue parole, tra le parabole del Nazareno e le martellate della Crocifissione, campeggia il loro grido agghiacciante e premonitore: "allontanatevi, siamo infetti!". Nessuno si avvicina loro, la pietà cristiana muore nel raggio di qualche metro dalle loro piaghe. Resta solo Lui, il Vasaio nelle cui mani il fango può ritrovare forma, riacquistare bellezza e definizione, luce e calore. Lui non scappa, non fugge dalle sue responsabilità, s'addentra nel grido di dolore per cercarne l'origine e il battito. E se Lui resta - mentre tutti fuggono - il lebbroso stavolta s'avvicina lui (Mc 1, 40-45). Non l'accompagna nessuno: è un animale che puzza. L'unico caso nel vangelo di Marco in cui un ammalato s'avvicina da solo: con umiltà, con fiducia estrema, con cautela. Non c'è l'astuzia di chi vuol rubare a Gesù l'ennesimo miracolo, l'eloquenza ricca di lamenti del dolore, la mimica dell'implorazione in un volto che ormai è soltanto una spugna. Allontanato dalla società e divelto nel fisico, gli rimangono due possibilità: il miracolo, il salto nella vita, la riabilitazione sociale o restare così com'è, con tutto il male del mondo ficcato dentro di lui sino all'ultimo giorno della sua vita. "Se tu vuoi, puoi guarirmi". Lui lo punta dritto negli occhi: sente il cuore che batte, la lebbra pronta a sgretolarsi, il cuore umile che riconosce in Lui l'autore della vita: "lo voglio, guarisci!". Tra queste due frasi non si muove foglia, bestie e uomini tacciono. Solo la mano di Cristo s'allunga, compie il breve viaggio entro quella spanna d'aria, scioglie in un abbraccio la paura e la pietà.

A primavera due semi si trovavano uno a fianco dell'altro. Il primo disse: "Voglio crescere e spingere le mie radici in profondità, fare spuntare i germogli sopra la crosta della terra, dispiegare le gemme come bandiere per annunciare la primavera, sentire il calore del sole sul volto, la benedizione della rugiada sui petali". E crebbe. Il secondo replicò: "Ho paura. Se spingo le radici nel terreno, non so cosa incontrerò nel buio. Se mi apro la strada attraverso il terreno duro posso danneggiare i miei germogli. Se apro le gemme, una lumaca se le mangia. Se metto i fiori, un bambino potrebbe strapparmi da terra. E' meglio aspettare finché ci sarà sicurezza". E aspettò. Una gallina che raschiava il terreno in cerca di cibo trovò il seme che aspettava. E subito se lo mangiò.

In ogni storia c'è il sintomo della lebbra: Satana è sempre al lavoro nella sua spelonca per disumanizzare la bellezza della Creazione. E' il macigno della solitudine, della miseria, del menefreghismo, dell'anonimato, della disperazione, del peccato, della mormorazione falsa, della malizia spaventosa. Macigni enormi messi all'imboccatura dell'anima, che non lasciano filtrare l'ossigeno, che bloccano ogni lama di luce, che impediscono alle parole di essere feconde. Adesso devono tacere tutti, uomini e bestie, pure il lebbroso deve rientrare in città muto nelle parole e nei gesti. Cristo impone il silenzio: dalla mansueta tenerezza della guarigione passa con veemenza al fastidio, si scalda, ammonisce, intima di tacere perché la gente sta fraintendendo tutto, ieri come oggi. L'uomo ai Suoi occhi è sempre un diamante da sgrezzare.
E anche Dio ha il suo dilemma da sciogliere: come provare compassione e intervenire senz'apparire quel fantoccio assurdo che troppa gente porta oggi nel cuore? Mica un problema da poco, sopratutto per uno che si chiama Dio.

don Marco Pozza

6 febbraio 2012

4 febbraio 2012

Caro Gesù

Ho faticato non poco a trovarti.
Ero persuaso che tu stessi laggiù,
dove il Giordano rallenta la sua corsa tra i canneti e i ciottoli,
scintillando sotto il velo tremante dell'acqua, rendendo più agevole il guado.


C'è tanta folla in questi giorni che si accalca lì,
sulla ghiaia del greto, per ascoltare Giovanni,
il profeta di fuoco che non si lascia spegnere neppure nel fiume.
Immerso fino ai fianchi dove il letto sprofonda
e la corrente crea mulinelli di schiuma,
invita tutti a entrare nell'acqua,
per rivivere i brividi di un esodo antico
e mantenere vive le promesse, gonfie di salvezza.


In un primo momento,
conoscendo la tua ansia di convivere con la gente,
e sapendo che la tua delizia è stare con i figli dell'uomo,
pensavo di trovarti in quell'alveare di umanità brulicante sugli argini.
Qualcuno, però, che pure ti ha visto uscire dal Giordano,
grondante di acqua e di Spirito,
e mescolarti tra la turba di pubblicani e peccatori,
di leviti e farisei, di soldati e prostitute,
mi ha detto che da qualche giorno eri scomparso dalla zona.


Ora, finalmente, ti ho trovato.
Ed eccomi qui, accanto a te,
non so bene se condotto anch'io dallo Spirito,
in questo misterioso deserto di Giuda, tana di fiere e landa di ululati solitari.
(d. Tonino Bello)

2 febbraio 2012

CANDELORA, nel detto popolare...

"CANDELORA"
DELL'INVERNO SEMO FORA,
MA, SE PIOVE O TIRA VENTO,
DELL'INVERNO SEMO DENTRO.

"CANDELORA" FESTA DELLA LUCE: 2 Febbraio, Presentazione di Gesù

Festa delle luci (cfr Lc 2,30-32), ebbe origine in Oriente con il nome di ‘Ipapante’, cioè ‘Incontro’. Nel sec. VI si estese all’Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più penitenziale e in Gallia con la solenne benedizione e processione delle candele popolarmente nota come la ‘candelora’. La presentazione del Signore chiude le celebrazioni natalizie e con l’offerta della Vergine Madre e la profezia di Simeone apre il cammino verso la Pasqua. (Mess. Rom.)

La festività odierna, di cui abbiamo la prima testimonianza nel secolo IV a Gerusalemme, venne denominata fino alla recente riforma del calendario festa della Purificazione della SS. Vergine Maria, in ricordo del momento della storia della sacra Famiglia, narrato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria, in ottemperanza alla legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione. La riforma liturgica del 1960 ha restituito alla celebrazione il titolo di "presentazione del Signore", che aveva in origine. L'offerta di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, prelude alla sua offerta sacrificale sulla croce.
Questo atto di obbedienza a un rito legale, al compimento del quale né Gesù né Maria erano tenuti, costituisce pure una lezione di umiltà, a coronamento dell'annuale meditazione sul grande mistero natalizio, in cui il Figlio di Dio e la sua divina Madre ci si presentano nella commovente ma mortificante cornice del presepio, vale a dire nell'estrema povertà dei baraccati, nella precaria esistenza degli sfollati e dei perseguitati, quindi degli esuli.
L'incontro del Signore con Simeone e Anna nel Tempio accentua l'aspetto sacrificale della celebrazione e la comunione personale di Maria col sacrificio di Cristo, poiché quaranta giorni dopo la sua divina maternità la profezia di Simeone le fa intravedere le prospettive della sua sofferenza: "Una spada ti trafiggerà l'anima": Maria, grazie alla sua intima unione con la persona di Cristo, viene associata al sacrificio del Figlio. Non stupisce quindi che alla festa odierna si sia dato un tempo tale risalto da indurre l'imperatore Giustiniano a decretare il 2 febbraio giorno festivo in tutto l'impero d'Oriente.
Roma adottò la festività verso la metà del VII secolo; papa Sergio 1 (687-701) istituì la più antica delle processioni penitenziali romane, che partiva dalla chiesa di S. Adriano al Foro e si concludeva a S. Maria Maggiore. Il rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: "I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti". Da questo significativo rito è derivato il nome popolare di festa della "candelora". La notizia data già da Beda il Venerabile, secondo la quale la processione sarebbe un contrapposto alla processione dei Lupercalia dei Romani, e una riparazione alle sfrenatezza che avvenivano in tale circostanza, non trova conferma nella storia.

Autore: Piero Bargellini