27 gennaio 2012

TRA IL DIRE E IL FARE, UNA STORIA DI LIBERAZIONE

IV Domenica del tempo ordinario  -  29 gennaio 2012

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. (...). Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea. (Marco 1, 21-28)

Questo Vangelo ci riporta la freschezza della sorgente, lo stupore e la vivacità dell'origine: la gente si stupiva del suo insegnamento.
Come la gente di Cafarnao, anche noi ci incantiamo ogni volta che abbiamo la ventura di incontrare qualcuno con parole che trasmettono la sapienza del vivere. Che comunicano una sapienza, sulla vita e sulla morte, sull'amore, sulla paura e sulla gioia.
Parole che aiutano a vivere meglio.
Di fatto, sono autorevoli soltanto le parole che accrescono la vita.
Gesù insegnava come uno che ha autorità. Ha autorità chi non soltanto annuncia la buona notizia, ma la fa accadere.
La buona notizia è un Dio che libera la vita.
Gesù ha autorità perché si misura con i nostri problemi di fondo, e il primo di tutti i problemi è «l'uomo posseduto», l'uomo che non è libero.
Volesse il cielo che tutti i cristiani fossero autorevoli!
E il mezzo c'è: si tratta non di “dire” il Vangelo, ma di “fare” il Vangelo, non di predicare ma di diventare Vangelo, tutt'uno con ciò che annunci: una buona notizia che libera la vita, fa vivere meglio, dove nominare Dio equivale a confortare la vita.
Mi ha sempre colpito l'espressione dell'uomo posseduto: “Che c'è fra noi e te Gesù di Nazaret? Sei venuto a rovinarci?”.
Gesù è venuto a rovinare tutto ciò che rovina l'uomo, a demolire ciò che lo imprigiona, è venuto a portare spada e fuoco, a rovinare tutto ciò che non è amore.
Per edificare il suo Regno deve mandare in rovina il regno ingannatore degli uomini genuflessi davanti agli idoli impuri: potere, denaro, successo, paure, depressioni, egoismi.
È a questi desideri sbagliati, padroni del cuore, che Gesù dice due sole parole: “Taci, esci da lui!”. Tace e se ne va questo mondo sbagliato. Va in rovina, come aveva sognato Isaia, vanno in rovina le spade e diventano falci, si spezza la conchiglia e appare la perla. Perla della creazione è l'uomo libero e amante.
Questo Vangelo mi aiuta a valutare la serietà del mio cristianesimo da due criteri: se come Gesù, mi oppongo al male dell'uomo, in tutte le sue forme; Se come lui porto aria di libertà, una briciola di liberazione da ciò che ci reprime dentro, da ciò che soffoca la nostra umanità, da tutte le maschere e le paure.
Un verso bellissimo di Padre Turoldo dice: Cristo, mia dolce rovina, gioia e tormento insieme tu sei. Impossibile amarti impunemente. Dolce rovina, Cristo, che rovini in me tutto ciò che non è amore, impossibile amarti senza pagarne il prezzo in moneta di vita! Impossibile amarti e non cambiare vita e non gettare dalle braccia il vuoto e non accrescere gli orizzonti che respiriamo.
(Ermes Ronchi)


26 gennaio 2012

INDIGNATO, CHIAMATO A SCENDERE DALLA BARCA

Nei giorni scorsi mi sono chiesto che fine hanno fatto gli indignados.
Un popolo sceso sulle piazze di tutto il mondo, che a Roma ha assistito attonito alla pazzia di alcuni violenti pseudo contestatori, sembra come svanito nel nulla.
Sembra quasi non ci sia più nulla per cui indignarsi!
Una vignetta che mi è giunta in questi giorni, mi provoca un sorriso amaro.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva:
Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone,
mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori.
Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini».
E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti.
E subito li chiamò.
Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
(dal Vangelo di Marco 1,14-20)

Gesù invita i suoi primi amici a scendere dalla barca per mettersi in gioco in una missione ancora misteriosa al loro sapere.
Un comandante in preda all’urgenza di porre rimedio a un disastro, invita invece a salire nella barca.
Ma di tutto questo non mi sento indignato.
Mi indignano le centinaia di persone che nello scorso weekend hanno scelto come meta turistica, il relitto di una nave, teatro di tragedia e bara di morte per alcuni.
Mi indignano i talk show costruiti ora dopo ora su testimonianze (vere e ahimè, false), immagini reali o presunte, che incollano migliaia di italiani alla TV.
Mi indignano i giornalisti che rasentano il rischio di sostituirsi agli organi preposti a indagare.
Niente da dire, un bel colpo mediatico!
Un errore umano che, grazie a Dio, non è stata la riedizione di ben più gravi disastri del mare (Titanic docet).
Un uomo che, secondo il mio modesto parere ha perso la testa, ora incriminato come il peggior criminale della terra.
Nessuno renderà mai serenità a quanti piangono la scomparsa di qualche persona cara e difficile sarà riacquistarla per chi ha subito lo schock del naufragio.
Per un uomo, comandante per mestiere, ci sarà un futuro di schiavitù che lo legherà per sempre all’onta del’umiliazione e dell’imperdonabile errore.
Temo invece – ahimè - che per i molti incollati alle TV di tutto il mondo, tra qualche settimana quando un altro ineluttabile nuovo evento emergerà, questo dramma del mare scomparirà nel dimenticatoio.

Che cosa ci resta?
Scenderà dalla barca dell’omologazione di massa e riappropriarsi della propria originalità e unicità!
L’invito di quel Messia che solcava le spiagge del Mar di Galilea, era e continua ad essere originale.
Lui chiama per nome!
Un chiaro invito ad essere ciò per cui siamo stati voluti e creati. Un invito a saper andare controcorrente, quando serve, per amore della Verità.
La verità che è dono e prerogativa dell’uomo che si lascia illuminare dall’alto.
“Scendere dalla barca”, significa anche scendere nella profondità della propria mente e del proprio cuore.
Scoprire che non si è soli, ma che abbiamo un riferimento chiaro e certo per come comportarci, cosa pensare e cosa dire, di fronte agli eventi della vita.
Ciò che può risuonare forte dentro il cuore del cristiano, non possono che essere gli stessi sentimenti e lo stesso modo di pensare e agire di Colui che è parametro di riferimento di tutti i giorni. Cristiano è colui che si riconosce in Cristo!
La sua attività principale è quella di inondare il mondo di misericordia.
Misericordia è avere un cuore semplice, umile, misero … un cuore che non si preoccupa dei particolarismi indispensabili a costruire notizie accattivanti, ma semplicemente ama. Ama, punto e a capo!

Anche se indignato, amo i curiosi, amo i giornalisti, amo gli incollati ai video. Amo e compatisco.
Ho misericordia per l’errore umano. Non sarò io, perché non voglio e non posso esserlo, a deciderne le conseguenze. Ci penserà solo ed esclusivamente chi è chiamato a tale competenza e responsabilità. Niente e nessuno si sostituisca alle aule dei tribunali!
Ho misericordia, che si fa preghiera per le vittime del mare. Misericordia che per loro diventa caloroso abbraccio di eternità in Dio.
Ho un cuore sofferto che ama i famigliari e gli amici delle vittime. Misericordia che significa dono di forza, sollievo e sostegno.
Ho un cuore rallegrato che ama quanti in questi giorni spendono competenza, anche a rischio della vita, per salvare il salvabile.
Ho il cuore che sorride, perché mi sento chiamato a lasciare la barca e a mettermi in gioco con Colui che è il “tutto di tutto”. A non lasciarmi intruppare, ma usare con umiltà, la mente come la userebbe il Messia che un giorno e tutti i giorni mi chiama per nome.

19 gennaio 2012

ERANO LE QUATTRO DEL POMERIGGIO!

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
(dal Vangelo di Giovanni 1,35-39)

Mentre camminavo per la città ho incontrato il mio vecchio insegnate di religione. Non l'avevo più incontrato. Sapevo che aveva abbandonato tutto e si era ritirato in un monastero del deserto del Medio Oriente.
Avevo letto di lui e visto un documentario sulla sua nuova esperienza di vita eremitica.
Quando lo vidi mi sentii raggelare dall'emozione. Fu un enorme piacere.
Andai da lui qualche mese dopo. Chi la conosce, sa che l'esperienza del deserto è di un'originalità e unicità che difficilmente si possono descrivere.
Dove sembra regnare il nulla, tutto diventa importante, essenziale, necessario, piacevole. Ti viene data la possibilità di scorgere i particolari e di dare un giusto valore alle cose.
L’ormai vecchio eremita - maestro ritrovato - mi faceva notare cose che distrattamente non avevo neanche visto.
L'intento era chiaro, mi ha aiutato ad aprire gli occhi.
Grazie a lui vedevo cose che l'occhio distratto non vedeva. Ma più ancora, gradualmente, mi ha aiutato ad aprire altri occhi, quelli del cuore!
Quell'occhio dentro di te che ti fa sentire attratto da una persona piuttosto che un'altra.
Quell’occhio del cuore di una mamma che guarda al figlio come la creatura più straordinaria della terra.
Quell’occhio del cuore, di due innamorati che non sanno perché, ma l’altro o l’altra, è il bene più prezioso che da’ “realizzazione” alla propria storia.
Quell’occhio del cuore di un imprenditore che guarda alla propria attività come il crescere un figlio. O dell’operaio che vede nel suo operare la realizzazione di un bene grande.
Quell’occhio del cuore che sperimenta timore e ansia di fronte alla fatica di arrivare a fine mese.
Quanti “occhi del cuore” costellano angoli conosciuti o meno del nostro esistere!
Il vecchio eremita mi ha aiutato a capire che nell’ordinario o straordinario della mia storia, c’è sempre un “erano le quattro del pomeriggio”! Esiste sempre un momento preciso per un incontro eccezionale che rende ricca la vita.
Mimetizzato nei rivoli più scontati o più misteriosi, Gesù è sempre in agguato perché desidera stabilire un contatto.
Gesù, non fa squilli al cellulare o al campanello di casa. Si maschera e prende forma in mille situazioni, persone, esperienze … Il bello di Gesù è che ci cerca. Sempre. È lui che cerca l’incontro perché le lancette, dell’orologio esperienziale della vita, si fermino a segnare un momento dopo il quale … tutto non sarà più come prima.
L’occhio, spesso fagocitato da mille lusinghiere distrazioni, possa farci incontrare con Colui che è presenza, sostegno, speranza e senso pieno al nostro andare.
Ci sia per tutti il blocco dell’orologio, perché alla ripresa del “ticchetio” si trovi il calore del cuore, la luce della mente e la sicurezza che, con Lui, “nulla ci turbi”.
"Che cosa cerchi? Vedere dove abito? Vieni! Seguimi! Vedrai e capirai... e tutto non sarà più come prima!"

7 gennaio 2012

ACQUA E FUOCO, UN BATTESIMO PER LA VITA! 08.01.2012

UNA SEMPLICE, FORSE CONFUSA, RIFLESSIONE NELLA DOMENICA IN CUI RICORDIAMO IL BATTESIMO DI GESU'.

Dal Vangelo secondo Marco  (1,7-11)
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
PER UN BATTESIMO DI “FUOCO”
A scuola ho sempre avuto una pessima amicizia con la chimica. Ricordo che il terzo anno, dopo essere stato rimandato a settembre negli anni precedenti, il professore preso dalla disperazione, mi invitò ad uscire per una interrogazione e porre definitivamente fine al mio rapporto con la sua materia. Ricordo che mi chiese la formula dello zucchero e dell’acqua, mi diede un sei (politico?) e così si chiuse la mia relazione con la chimica.
H2O = acqua! Una particella d’idrogeno e due di ossigeno – almeno credo sia così – danno vita all’acqua.
Seppi più tardi, che il nostro corpo è composto da una percentuale altissima di acqua fin quasi al 75/80 %.
Tutti sappiamo che il destino dell’umanità è legato all’acqua. Dove non c’è acqua non c’è vita!
Sappiamo pure che la fantasia di Dio è sempre sorprendente e ci precede.
Per il suo “ingresso ufficiale” nella comune storia degli uomini, non ha scelto segni potenti o eclatanti, ma la semplicità dell’acqua!
Il Bambino-Dio che abbiamo accolto e contemplato in questo periodo, in età adulta prendendo gradualmente consapevolezza del suo essere e della sua missione, umilmente si mette in fila come tutti i mortali - fuori dalla città - dove scorre il fiume Giordano.
Lì, incontra il suo parente Giovanni Battista, uomo bizzarro agli occhi di molti, che annuncia l’arrivo del Messia e invita alla conversione che passa anche attraverso il segno di un battesimo con l’acqua.
Il Battista diceva a tutti i penitenti in fila, di predisporre il cuore per accogliere nel dovuto dei modi “Colui che deve venire”.
È un invito chiaro ad alimentare il desiderio dell’incontro.
Quant’è bella l’esperienza del desiderio, dell’attesa di un incontro. Quant’è bello il “Sabato del villaggio” di Leopardiana memoria:
 “La donzelletta vien dalla campagna / in sul calar del sole [...] Questo di sette è il più gradito giorno, / pien di speme e di gioia: / diman tristezza e noia / recheran l’ore, ed al travaglio usato / ciascuno in suo pensier farà ritorno”.
Ormai, un po’ tutti adusi ad avere tutto e subito, rischiamo di non godere più del piacere dell’attesa di un incontro. Così anche quello con “Colui che deve venire” rischia di non trovarci pronti e desiderosi di lasciarci abbracciare.
Il Battista rimane semplicemente sorpreso nel trovarselo davanti. Neanche lui si aspettava una così semplice entrata in scena del Messia.
Trovandosi di fronte a Gesù non può che arrendersi all’idea che il Battesimo d’acqua lo vuole ricevere anche lui.
Anche Gesù si fa battezzare con l’acqua!
Come dire a tutti che Dio diventa “in tutto simile a noi, eccetto il peccato”. È il nostro Dio che diventa pienamente umano e inizia così, in Gesù, la sua missione terrena!
Anche noi riempiti d’acqua nel corpo, siamo stati rivestiti da Dio, nel battesimo d’acqua che abbiamo ricevuto da piccoli.
Ma, oltre all’acqua, siamo stati unti anche con l’olio del Crisma che dice la potenza stessa di Gesù che viene inserita nel nostro essere.
“Verrà uno che vi battezzerà in Spirito Santo”, dice il Battista!
“Siamo stati battezzati in Spirito Santo”, possiamo dire noi!
Senza acqua non si vive! Senza l’acqua viva, che è il Cristo, il Figlio di Dio, la nostra vita corre a scartamento ridotto!
Gesù nella sua vita non ha mai battezzato nessuno con l’acqua. Il dono suo è ben più grande: il suo stesso Spirito!
Quanto poco viva è in noi questa consapevolezza. Sapere che abbiamo le stesse possibilità avute da  Gesù, per affrontare la fatica del vivere. Siamo sostenuti, sorretti e alimentati da una misteriosa forza che cerca di farsi largo in noi per permetterci di assaporare il piacere di sentirci non solo figli, ma anche fratelli Suoi. Dentro di noi non scorre solo il sangue tra le vene, ma anche la potenza inesplicabile di uno Spirito che ci permette di essere come Lui.
Il desiderio di incontrarLo, di lasciarci “battezzare” con il fuoco dell’amore e poter così essere come Lui, sono gli ingredienti fruttuosi per una vita … primaverile!
Dentro le pieghe di una storia che ci distoglie dall’essenziale delle cose, il poter riscoprire le alte vette a cui siamo chiamati, non può che rasserenarci e farci vivere – malgrado tutto e tutti – con il sorriso nel cuore.
Ora so che quando berrò un bicchiere d’acqua, posso ricordarmi che non solo sono “acqua” ma sono anche “fuoco dello Spirito divino”.
Grazie alla buon’anima del mio vecchio, paziente e saggio professore di chimica per quell’interrogazione indimenticabile!
Grazie al mio vecchio parroco, passato a miglior vita in un ormai lontano 4 dicembre, per l’acqua versata e l’olio unto, che mi hanno fatto diventare cristiano!
Dio, guardandoci, possa esclamare con orgoglio: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.

IL SABATO DEL VILLAGGIO (G. Leopardi)

La donzelletta vien dalla campagna
in sul calar del sole,
col suo fascio dell'erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e viole,
onde, siccome suole, ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dí della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch'ebbe compagni nell'età piú bella.
Già tutta l'aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
giú da' colli e da' tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e là saltando,
fanno un lieto romore;
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dí del suo riposo.

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l'altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s'affretta, e s'adopra
di fornir l'opra anzi al chiarir dell'alba.

Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l'ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d'allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

6 gennaio 2012

EPIFANIA: il manifestarsi di Dio! 6.06.2012

IN QUESTO SANTO GIORNO DELLA "MANIFESTAZIONE DI GESU'" (EPIFANIA), RIPROPONGO UNA RIFLESSIONE SCRITTA UN ANNO FA... SPERO, COME SEMPRE FAR PIACERE AI GENTILI AMICI DI QUESTO SEMPLICE BLOG.
SE "L'EPIFANIA TUTTE LE FESTE PORTA VIA", IL NUOVO ANNO PORTI CON SE' IL PIACERE DEI MISTERI VISSUTI IN QUESTI GIORNI SANTI.

I MAGI ?
SONO GIA’ ARRIVATI
Per la tradizione erano in tre: Baldassare, Melchiorre e Gaspare.
Sempre in tre sono loro, Giuseppe, Maria e il piccolo Gesù.
In tre saranno un giorno anche sul Monte Tabor: Pietro, Giacomo e Giovanni.
Ma, il top dei top, è che in tre è anche lui, Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Il “tre” entra nella storia come un numero che biblicamente ha un significato importante.
Portano dei doni, quei misteriosi personaggi arrivati da lontano: oro, incenso e mirra.
Arrivano in quella “nursery” improvvisata nelle colline a sud di Gerusalemme e incrociano finalmente il loro sguardo con quello di Dio.
Dio non è un potente extraterritoriale, una sorta d’inafferrabile ideatore e gestore delle sorti dell’umanità. L’eccelso, il sublime, il magnifico. Il totalmente altro, ammiratore egocentrico autoreferenziale che gode del suo creare. No, Dio non è colui che sta “oltre”…
Dio si presenta ai “nostri eroi” nella potente debolezza di un semplice bambino, nella povertà di un riparo. Lo trovano così: un bambino accudito da mamma e papà, ancora increduli, ma altrettanto orgogliosi della loro creatura.
Entrano, sospirano e … s’inchinano!
È il gesto dell’adulto quando s’inchina di fronte a un bambino, per accarezzarlo, farlo sorridere, prenderlo in braccio … Ma qui, riconoscono ben più di un semplice bambino!
Penso che Maria abbia non solo esibito il suo figlio, ma l’abbia porto loro perché lo prendessero in braccio, lo potessero accarezzare, far sorridere.
Eccoli là i tre sapienti e potenti che tengono in braccio, a turno … Dio!
Che bello pensare a un Dio da sempre atteso, che ha costruito una storia di salvezza pagina su pagina, giorno dopo giorno e che ora sta lì tra le braccia di una “spaesata” giovane coppia e in quelle dei saggi del tempo, venuti da lontano.
Lo guardano, lo ammirano, gli sorridono, mentre lui magari fa scappare tra le sue gambette una simpatica “pisciatina”. E così uno dei nostri “Grandi” si ritrova, tra le risate dei presenti, … con le mani bagnate.
Questo è il nostro Dio! Un neonato di nome Gesù!
I tre sapienti Magi arrivano in quel luogo, nella sperduta Betlemme, dopo anni di ricerca, di studi, di pensieri elaborati. Sicuramente guidati e animati dal desiderio vero e profondo di potersi incontrare un giorno con Colui, che non disattende i sogni degli uomini.
Guidati dalla stella che non brilla solo in cielo, ma nella profondità del cuore e stimola l’uomo a sentirsi in continua ricerca.
Portano con loro oro. È il dono regale e prezioso che si fa alla persona che si ama, o per la quale si nutre profonda ammirazione e rispetto. Lo pongono ai piedi di Colui al quale ne riconoscono la regalità.
Aprono lo scrigno dell’incenso che a contatto con la brace fa salire al cielo una profumata nuvola di fumo. A ricordo dell’antico gesto sacro nel Tempio in cui si loda e invoca Dio. Riconoscono nel bambino regale il nuovo Sacerdote, sommo ed eterno.
Velatamente, anche con un po’ di mestizia, infine, porgono il vasetto della mirra. Ahimè un giorno servirà per ungere il corpo morto di quel bambino, diventato adulto che, scomodo agli uomini, sarà fatto fuori crudelmente. Una profezia che funesta la dolcezza di quell’incontro, ma rende credibile e veritiero il momento e il perché di quella nascita. Quel bambino regale, sommo ed eterno sacerdote, con la sua morte si farà espiazione dei peccati dell’umanità.
I nostri tre amici passeranno alla storia.
Sono i primi pellegrini, unitamente ai poveri pastori, verso un nuovo luogo santo. Icona di coloro che si mettono in viaggio con una meta precisa, che diventa incontro.
Incontro che rallegra, che rende ragione al senso dell’andare. Al nostro senso dell’andare!
Anche oggi, sono in molti a farsi “pellegrini” per ammirare almeno uno dei tanti presepi, che la comunità degli uomini credenti conosce.
Anche lì, tra le scene che parlano di questa nostra amata terra, confusi tra i vari personaggi , trovano oggi un posto d’onore i Magi.
Ancora oggi, in tutti i lembi di terra dove c’è un presepio, i Sapienti Magi, presentano non solo doni per Gesù, ma anche delle domande per l’uomo in cammino. Di un tempo e di oggi.
Quali sono i nostri doni che portiamo ai piedi del Bambino?
Quali i nostri “averi” da condividere con i “bambini” (grandi e piccoli) che tendono la mano o … il piatto vuoto?
Quali sono i nostri “preziosi” da mettere in gioco perché anche altri possano godere?
Gesù nasce anche oggi! I Magi ci ricordano che ogni uomo, di ogni colore, popolo o nazione, viene al mondo per mostrarci il volto di Dio.
Non c’è distinzione. In ogni cuore che batte, c’è il battito del cuore di Dio.
I magi si sono messi in gioco, hanno osato. Poteva anche essere un viaggio a vuoto.
Si sono fidati: la mano Provvidente di Dio li ha guidati e riempiti di ogni bene. 
Sono andati per vedere e per portare.
Sono tornati notevolmente arricchiti con il cuore che palpitava in modo nuovo, al ritmo di quello di Dio.

Il nostro cuore batte in sintonia con quello di chi?

1 gennaio 2012

ANCHE DIO HA UNA MAMMA! 01-01-2012

Maria, Donna dell’Attesa,
Donna della Speranza,
Donna dell’Ottavo giorno.
Maria, Madre di Dio!
Uno, cento, mille titoli che si possono attribuire a Colei che con il suo “si” ha rivoluzionato la storia dell’Umanità.
In un piccolo paese delle Prealpi venete, ultimo baluardo della provincia di Treviso, Segusino, in questo periodo accoglie migliaia di turisti, visitatori, cercatori di bellezza, di tranquillità, di ristoro dell’anima e di pace.
Ad accoglierli all’arrivo della loro visita è l’ormai famoso “presepio di Segusino” (vedi www.presepiosegusino.it) e a chiudere la ristoratrice passeggiata, la chiesetta montana di Milies ospita l’opera artistica di Cristina Merino su allestimento di Matteo Berra.
Entro una naturale cornice lignea, sorretta da una stele in faggio chiaro, al centro di altre sette steli minori, fa bella mostra di sé l’immagine iconografica della Madre di Dio.
Avvolge con il suo dolce sguardo materno il Bambino-Dio. La tenerezza di Maria manifesta il dono del suo figlio da parte di una mamma “tutta speciale”. Sembra incrociare lo sguardo di quanti lo vogliono incontrare conoscere accogliere.
Maria non è gelosa della sua creatura. Sa che il figlio è un dono e non è sua proprietà.
Il figlio è per il mondo, per ogni uomo, di ogni tempo!

A far corona all’icona, innalzate su sette distinti steli ci sono sette diversi sguardi. Occhi curiosi, occhi gioiosi, occhi che cercano, occhi che chiedono, che esprimono rabbia, sofferenza e speranza.
Sono lì, come un segno che richiama quanto esprime l’Umanità.
È il vissuto di sempre e di tutti. Attese, speranze, progetti realizzati e infranti, fiducia e tradimenti, serenità e angoscia, dolore e delizie, luce e tenebre, gioia e ansia, …
È un’umanità che … si stringe alla Madre per sfiorare il Figlio. Per lasciarsi toccare da Lui, riempire da Lui, ascoltare Lui …
È un’umanità che … sta lontano dalla Madre e teme il Figlio. La paura che il lasciarsi prendere da Lui tutto si potrebbe sconvolgere, modificare, indirizzare in altra direzione.
È un’umanità che … cerca ma distrattamente non si accorge che in Lui ci sono le risposte prime e ultime ad ogni domanda di senso vero della vita.
È un’umanità che … delusa, a volte, dalla mancanza di testimonianza evangelica di quanti si professano cristiani, ma non sono credibili …
Questa umanità, siamo noi!

Accoglici o Madre di Dio,
all’inizio di un nuovo anno, tempo dell’uomo, tempo di Dio!
Dissetaci con il latte che ha nutrito il tuo Bambino.
Riscaldaci con il calore di un grembo.Illuminaci con lo sguardo che parla.Donaci la sicurezza che cerca ogni piccola creatura.Sostieni il cammino faticoso di questi tempi
e fa che troviamo ciò che cerchiamo.
Tutto ciò che da sapore e nutrimento alla vita.

Maria, Madre di Dio, prega per noi!